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CO STREIFF
CO STREIFF SEXTET. QATTARA. INTAKT CD 078 From dance and sunshine
to storm and danger
Valutazione: * * * * Co Streiff è una talentuosa sassofonista svizzera, che di recente ha acquistato una fama (relativamente) più ampia grazie alla pubblicazione - nel 2002 - di Twin Lines un album in duo al fianco della sua turbolenta conterranea Irène Schweizer. La storica Intakt Records di Zurigo, che già aveva prodotto quel lavora pubblica ora il suo primo disco a proprio nome (dopo diversi interessanti lavori usciti per la Unit Records in cui la Streiff era leader dei Kadash). Qattara costituisce un progetto composito e variegato, in cui la Streiff è affiancata da un manipolo di musicisti, anch'essi elvetici, ai quali è legata da una profonda e condivisa sensibilità. Una sensibilità che si basa sull'amore sconfinato per le indimenticabili pagine, sempre feconde di nuovi spunti, scritte dalle avanguardie jazzistiche nere a cavallo tra gli anni '60 e i primi '70; e quindi questo Qattara è un omaggio all'eclettismo dell'Art Ensemble of Chicago, alla terragna cosmicità di Sun Ra, all'allucinato funk del Miles elettrico, nonché alla travolgente e danzante vitalità della musica africana. Il CD si distingue per il suo carattere collettivo, nel quale nessuna personalità si erge al di sopra dei compagni, ma in cui tutti svolgono egregiamente il proprio ruolo, in ossequio ad una ben precisa poetica, che si fonda su di una sonorità d'insieme calda e ricca, grazie anche al multistrumentalismo dei vari membri, e sulla sagace alternanza tra momenti preordinati e sezioni più aperte, riprese di temi celebri e composizioni originali. Si parte con una sorta di suite in quattro parti incentrata sul deserto, inteso come luogo fisico ed interiore (il Qattara del titolo dell'album è una zona del deserto libico). Le percussioni creano un fondale ipnotico, sul quale si instaura il pesante, "grasso" groove del clavinet con tanto di effetto wah wah di saturniana memoria, al quale si unisce il tagliente e torrido contralto della leader. Il flusso si rompe per poi ricomporsi secondo logiche (non lontane da quelle delle Unit tayloriane degli anni '70) che tendono ad organizzare e dare forma al caos. Dopo lo spezzato e sincopato funk di "Nus Nuss", in cui ha modo di mettersi in luce la tromba di Christof Gantert, nella title track il tempo sembra sospendersi, in un clima di irreale immobilità: le sgocciolanti note del piano e i meditativi sussurri dei fiati sul profondo bordone del basso sono il perfetto correlativo oggettivo degli spazi infiniti del Sahara; lentamente la pulsazione torna a farsi sentire in "Darb-el-Mashashas", colorata dall'inconfondibile suono del balafon, sulle cui insistenti note la Streiff dispiega un canto libero e appassionato. Non c'è tempo per riprendere fiato che il sestetto ci regala un'altra perla: il dolente ed evocativo tema di "Message from Thule", ricco di echi di un immaginifico folklore nordico, incornicia lo straniante assolo di Tommy Meier, la cui cornamusa modificata, reminiscente degli strumenti a fiato arabi, ci porta molto più a sud (anche se egli dichiara nelle note di copertina di essersi ispirato alle melodie vocali degli sciamani siberiani). L'album prosegue con una serie di espliciti omaggi: ad Andrew Cyrille, con la contagiosa melodia di "Second Celebration", resa più ruspante dalla fisarmonica dell'eclettico Ben Jeger, e ai due dioscuri dell'AeoC, Mitchell e Jarman, con "Nonaah" e "Blues for Zen", quest'ultima introdotta dall'abrasivo soliloquio al basso di Christian Weber. Concludono il programma lo scuro e ficcante "Siwa", il funkeggiante "NowNow!", dominati entrambi dall'organo Farfisa, e l'atmosferico, spaziale "Gebrselassie", dall'incedere lento e pesante, in cui fa capolino il tema di "Mu", del "Dio Sole" di Birmingham, Alabama, quasi a voler chiudere il cerchio della ricerca intrapresa con l'iniziale ÒRaÓ. Il passato al quale Co Streiff
e i suoi si ispirano, ricalcandone le atmosfere e riattualizzandone
l'impeto libertario, non appare mai un modello costrittivo e soffocante;
sarà per il fatto che esso è stato finora raramente battuto (in particolare
da musicisti europei, forse bloccati dalla sua cifra prettamente afro-americana),
sarà perché aveva in sé i germi per fertili sviluppi futuri, ma gli
spazi e le potenzialità che offre risultano essere un importante trampolino
di lancio per avventure musicali fresche e coinvolgenti. Ancor più,
come nel caso di Qattara, quando le supportano la passione e la dedizione.
Dem 'Billigen Bauern' Gantert
begegnet man gleich noch einmal im CO STREIFF SEXTET. Dazu kommen Tommy
Meier (Tenor Saxophon, Bassklarinette), Ben Jeger (Piano, Clavinet,
Farfisa, Akkordeon), Christian Weber (Kontrabass) und der Drummer Fredi
Flükiger, die auf Qattara (Intakt 078) zusammen mit ihrer überwiegend
Feder führenden Leaderin durch die ägyptische Wüste streifen und dabei
auf Relikte von Meerestieren und Spuren von Andrew Cyrille, Roscoe Mitchell,
Joseph Jarman und Sun Ra stossen, wobei sich ihnen auf zwei Etappen noch
Tom Varner mit seinem Horn anschloss. Streiff hat sich mit ihrem Alto-
& Sopranosaxophonsound einen Namen gemacht mit dem Circus Theater Federlos,
Kadash, dem Vienna Art Orchestra und im Duo mit Irène Schweizer. Hier
gibt sie zuerst einen funky-groovenden Ton an, mit 70ies-Touch durch
Jegers Keyboards, bei dem das Touristische ausgeschwitzt wird, bevor
mit dem Titelstück und dem balafondurchklöppelten 'Darb el-Mahashas'
orientalische Klangfarben und Arabesken à la Mariano und Embryo eine
Fusion von West und Ost beginnt. Dass es dabei unpuristisch zugeht,
zeigt Meier etwa dadurch, dass er mit einer abgesägten Dudelsackpfeife
und Doppelrohrmundstück täuschend 'echt' Arabisch quäkt. In der zweiten
Hälfte verwandelt sich der Wüstentrip in einen Dialog europäischer Geräuschverliebtheit
mit dem Drive der Great Black Music, wie sie prototypisch das Art Ensemble
of Chicago verkörperte, wobei sich Jeger mit Farfisageorgel oder Wahwah-Effekten
des Clavinets gleichzeitig vor Sun Ra verbeugt. Eklektizismus, Bricolage
und Spielwitz sind dabei bewusst eingesetzte Elemente einer urbanisierten
Meta-Folklore, die der Paradoxie frönt, ihre Wurzeln ständig neu zu
(er)finden.
Die Schweizer Alt- und Sopransaxophonistin
Co Streiff ist in Österreich spätestens seit ihren Kollaborationen mit
dem VAO und der Pianistin Irène Schweizer sowie durch ihre Formation
Kadash bekannt, in der sie u.a. ein Projekt mit ägyptischen FolkloremusikerInnen
verwirklichte. Ihre Liebe zu Nordafrika prägt auch «Qattara»:
gleich zu Beginn hören wir eine fünfteilige Suite, die auf einer Reise
durch die libysche Wüste entstand. Archaische und flirrende Klanggebilde
werden von tanzbaren Grooves abgelöst, fragmentierte Bläsermelodien
erklingen über funkigen Wah-Wah-Sounds aus Clavinet und Farfi-sa-Orgel.
Auch im zweiten Teil der CD bleiben die sechs Schweizer (auf zwei Stücken
durch den amerikanischen Hornisten Tom Varner zum Septett erweitert)
bei den Schwerpunkten Afrika und Great Black Music und verwenden Themen
von Andrew Cyrille, Roscoe Mitchell, Joseph Jarman und Sun Ra: spacige
Märsche, eckige Ostinati und farbenreiche, teils freie Bläserexkursionen
prägen hier das Klangbild, wenn auch die hypnotische Intensität der
ersten CD-Hälfte nicht mehr ganz erreicht wird.
Swiss saxophonist Co Streiff
leads this quartet through an organic, multidirectional program inspired
by her travels to the Libyan desert, namely a depression (Qattara) that
was once the bottom of a sea. Streiff and her associates cover quite
a bit of musical terrain here. Yet, the band maintains a sense of identity
throughout. On this release, the listener will notice traces of New
Orleans brass band type stylizations to coincide with the soloists'
fiercely executed, modern jazz based exchanges. The divergent track
mix, features African rhythms complete with Ben Jeger's rather fluffy
accordion work on the trance-like piece titled ÒSecond Celebration."
The sextet embarks upon free-form escapades as well, amid the musicians'
exuberant workmanship. Streiff is a melodic soloist, whether performing
on alto or soprano saxophones. But, Jeger's inclusion of a clavinet
and an old Farfisa organ, produces a late 60s psychedelic touch on works
such as ÒSiwa" and elsewhere. Nonetheless, this is a captivating effort
from beginning to end. --
Ms. Streiff plays alto &
soprano saxes and has a fine duo cd out with Irène Schweizer from recent
times. Co's superb sextet includes her partner Tommy Meier on tenor
sax & bass clarinet, Christoph Gantert on trumpet, Ben Jeger on assorted
keyboards, Christian Weber on double bass and Fredi Flukiger on drums.
Although I am unfamiliar with all of these musicians, I was completely
knocked out by this immensely diverse and strangely beautiful endeavor.
The title is a depression in the Libyan desert, below sea level, where
petrified spiral sea animals can be found. This dry and exotica flavor
runs through this entire treat. Co and Tommy wrote many of these pieces,
although they includes themes by Andrew Cyrille, Roscoe Mitchell, Joseph
Jarman and Sun Ra. Tommy's opening tune "Ra" features mysterious percussion,
an infectious funky clavinet groove and some dancing saxes, yet it breaks
into a free section for the horns in the middle, before another great
groove gets underway. "Nus Nus" starts with some eerie, breath-like
sounds from the horns play mystical harmonies and high-end piano tinkling,
then an African groove is set up with a balaphon and cow-piano. This
is a desert suite and it all flows together most naturally. "Message
from Thule" features some haunting horn harmonies and then an enchanting
double-reed solo. "Second Celebration" includes a theme from Andrew
Cyrille and features an incredible soprano sax solo from Co over another
enticing groove. Roscoe Mitchell's "Nonaah" pushes things out a bit
further and includes an intense layered horns only section and freer,
yet focused segments. Christian Weber's extraordinary solo acoustic
bass intro to Jarman's "Blues for Zen" reminds me of the great, alien
bowed bass sounds that Peter Kowald used to work with. "Blues for Zen"
is a real beaut, filled with passion, grace and some rich evocative
melodies. In some ways, this entire gem recalls some of those perfect
ECM titles from the seventies, which were a great blend of American,
and European modern jazz with some world music spice to make it even
better. This is one of this year's best and most unexpected of treasures,
which is quite marvelous since it is the debut release by Co Streiff
as a leader. Looks like our good pals at Intakt have a hit on their
hands! Highly recommended.
CO STREIFF - IRÈNE SCHWEIZER. TWIN LINES. INTAKT CD 073 Now 60, and too
often neglected in discussions of improvised music and jazz piano, Schweizer
is a key figure on the European scene. When the time was right she plunged
energetically into the ferment of free blowing; subsequently she reconstructed
her music on the ground cleared during that iconoclastic phase, and
has become a mervellous soloist as well as a responsive group player.
The Chicago set ranks with her best solo work. Robustly rhythmic passages
or delicate statements from the instrument's interior are executed with
almost mechanical precision, yet her sensitivity to dynamic nuance is
remarkable. She can emulate the warmth of Abdullah Ibrahim, the angularity
of Monk, the fire of Taylor and remain distinctively Schweizer. In Kerouac's
phrase, she knows Time.
Lohn der Arbeit - Co Streiff
und Irène Schweizer im Duo
Diese Aufnahmen wurden von
vielen Fans und FreundInnen der Musikerinnnen schon seit langem erwartet,
spielen doch die beiden seit dem Canaille-Festival 1986 in der Roten
Fabrik regelmässig in den verschiedensten Konstellationen zusammen.
Auch wenn man also die Musik der Saxophonistin und Pianistin gut zu
kennen glaubt, ist diese im Juli und August 2000 im Radio Studio Zürich
aufgenommene CD doch zu keinem Zeitpunkt überraschungsarm oder gar altbekannt.
Das hat natürlich in erster Linie damit zutun, dass hier für einmal
nicht die oft gespielten, liebgewonnenen, aber auch vielgehörten Stücke
und Motivraster von Irène Schweizer als Improvisationsgrundlage dienen,
sondern mit einer Ausnahme alle Kompositionen, die zudem harmonisch
und rhythmisch zum Teil ziemlich herausfordernd sind, von Co Streiff
stammen.
Von Herz zu Herz
La rencontre ne date pas
d'aujourd'hui, les deux musiciennes improvisant ensemble depuis un certain
festival Canaille de 1986 (Irène jouait alors de la batterie).
D'un répertoire célébrant Ornette, Dudu Pukwana,
Carla Bley, Monk et après quelques collaborations avec Joëlle
Léandre, Maggie Nicols et Lindsay Cooper, le duo s'est recentreé
aujourd'hui sur les compositions de la saxophoniste. Ici, une musique
des justes dosages et de la douceur du trait, rigoureuse dans son écriture,
franche dans son accomplissement, diverse dans ses énergies (blues
et gospel dans They're Comong Down et sa subtile réverénce
au Ayler des débuts; ballade jazz dans Good Bye, Matthew,
lyrisme recueilli dans Five Dark Days aux forts accents tyneriens,
ludique poursuite dans Fragment For an Old Friend et Forward
to Start Again). Soit une musique non démonstrative, dépouillée,
profonde et souvent bouleversante. L'occasion rêvée de
découvrir le jeu aéré, puissant, sensible de Co
Streiff. Messieurs les organisateurs, encore un tout petit effort
One of the most significant
piano/sax duets
A fine, if ultimately frustrating,
meeting of two generations of Swiss improvisers, this CD shows that
the generation gap is less pronounced among musicians than most people,
but still potent. Performing as a duo for the past half-decade or so,
pianist Irène Schweizer and alto saxophonist Co Streiff followed two
different paths to get to this point. Streiff, born in 1959, has had
experiences in improv, jazz, ethnic, women's and rock music. Besides
teaching and leading her own sextet, she has played with the likes of
percussionist Steve Noble, bassist Joëlle Léandre, the band Kadash and
some of guitarist Fred Frith's graphic scores. Eighteen years older,
Schweizer is the grande dame of EuroImprov, having since the 1960s held
her own against numerous improv masters from saxophonists John Tchicai
and Evan Parker to numerous drummer from Han Bennink to her countryman
Pierre Favre. An accomplished solo pianist, Schweizer, who has also
served as a role model for aspiring musicians, is part of the band Les
Diaboliques with Léandre and singer Maggie Nichols. These two, who first
played together in 1986 -- with Schweizer on drums (!) -- exhibit more
congruence now since Streiff is more assured and freer in her conception,
while the pianist has relaxed from playing out-and-out energy music
to what could be called avant-mainstream. There are times here, in fact,
that such multi-faceted, straightahead masters as Hank Jones are brought
to mind in her solos. Despite the fact that all the compositions but
two are Streiff's, the relationship between pianist Lennie Tristano
and saxophonist Lee Konitz is also suggested, especially because Schweizer
appears to be the senior partner in this outing. The altoist doesn't
play like the highly cerebral Konitz, though. Her harder tone, tendency
to slip into the tenor range and outright linearity hint at bopper Phil
Woods during one of his many meetings with European pianists or maybe
suggest Paul Desmond's cooler buoyant tone. That's what makes this session
-- and its title -- disconcerting. Although there's plenty of counterpoint
here and certainly twin lines of improvisation, those lines don't seem
to intersect most of the time. With tunes ranging from ballads, blues
and swingers to ones that appear to reference either South African or
Klezmer sounds, the altoist's strategy is essentially the same. Despite
the odd key pop or higher freak note, she seems most comfortable playing
in mid-range, pushing the melody forward in a straight line. Meantime
the pianist snakes around her, intersecting more by chance than design.
Over the course of these 11 shortish tunes, you hear echoes of boogie-woogie,
African Township jive, Cagean piano innards intrusions, bop runs, quick
tempo changes and a soupçon of ornamentation. The one time the two really
sees to break free together is ironically "So oder so", the longest
track on the CD, and the only one written by Schweizer. As an example
of how well two generations of improvisers can play, or as an introduction
to Streiff's feats, the CD is valuable. But with one soloist concentrating
on the horizon while the other romps over the rest of the terrain it's
less than a definite statement. Perhaps next time out, they should consider
letting loose on fewer, longer compositions or adding other instrumentalists
-- as they have done in concert. Talent should win out in the end. --
Zwei Frauen machen eine gute
Jazzplatte, die eine am Tenor, die andere, Pianistin und Schlagzeugerin,
durch das Klavier kommunizierend. Meinrad Buholzer schreibt liner notes,
die so erzwungen auf die musikalische Qualität hinweisen, dass man merkt,
Frauen im Jazz, das ist immer noch etwas, auf das es aufmerksam zu machen
gilt. Wie peinlich. Stop. Hört die Kompositionen Co Streiffs, der Schweizer
Saxophonistin, das Zwiegespräch zwischen ihr und Irène Schweizer, der
Duo-erfahrenen (u.a. mit Günther Sommer und Andrew Cyrille) Altjazzerin.
Monk und Ornette Coleman sind offensichtlich Einflussträger der ideenreichen,
im Auftrag der Helvetia entstandenen Stücke. Trotz freier Momente steht
die Komposition im Vordergrund, Dynamik und eine authentische Auffassung
von Rhythmik beleben das Szenario. Trotz ihres nun 15-jährigen Zusammenspiels
ist dies die erste Dokumentation ihres Werks. Eine Aufnahme, die die
Gelassenheit und Vertrautheit zwischen Streiff und Schweizer widerspiegelt
ohne im Geringsten in Unaufmerksamkeit abzugleiten.
Schon seit 1986 kennen sich
Irène Schweizer, europäische Exponentin des freien Klaviers,
und die Saxophonistin Co Streiff, eine Generation jünger und ursprünglich
eher der klassischen Moderne des Jazz und des Altsaxophons verbunden.
Auch arbeiten sie seit vielen Jahren zusammen, sind musikalisch aufeinander
zu gegangen, Schweizer hat sich von der freien Improvisation wieder
komponierter Musik zugewandt und hat auf der anderen Seite ihre Partnerin
mehr und mehr in die freieren Gebiete geführt. Auch ihr ursprüngliches
Repertoire hat sich von Titeln der Klassiker des amerikanischen Jazz
hin entwickelt zu eigenen Arbeiten, aus denen dann in den Jahren 1999
und 2000 die Produktion «Twin Lines» entstanden ist. Duos haben oft
den grossen Vorteil, dass sich Partner auf sehr direkte Weise inspirieren,
eine Tatsache, die man bei den beiden Schweizerinnen sehr unmittelbar
spürt. Wie Zwillinge entwickeln sie ihre Songlines, wobei die meisten
Titel aus der Feder von Co Streiff stammen, präsentiert voller Witz
und manchmal Augenzwinkern wie bei dem Titel «Her Womb Had a Window».
Schweizer gibt den ekstatischen Ausflügen des Saxophons einen ungewohnt
rhythmischen und harmonischen Halt, leistet sich aber auch immer wieder
kleine Spaziergänge in ihre vertraute Umgebung. Schon ihre Einführung
mit «Bea be Good» lässt den Schweizer-Fan einigermassen überrascht zurück.
Sie selbst hält die freie Vergangenheit, die natürlich immer noch anhält,
für eine überaus wichtige Phase in ihrem musikalischen Leben, mit der
sie «reinen Tisch» gemacht hat, um nun im Prinzip alles auf eine neue
Art voller Reife spielen zu können, eine Erkenntnis, die viele ihrer
Kollegen gleichermassen äussern und die besondere Qualitäten heutiger
Musik ausmacht. Wer die 62jährige Schweizer
Pianistin IRÈNE SCHWEIZER v. a. als kompromisslose Free-Jazz-Akteurin
z. B. im Duo mit Tenorsaxofonist Rüdiger Carl oder gar als subtile Drummerin
bsp.weise an der Seite des zu früh verstorbenen Pianisten Urs Voerkel
(siehe BA35) kennt, wird über ihr sich fast durchweg im tonalen, ja
funktionsharmonischen Raum bewegendes Spiel im Duo mit der technisch
brillanten Saxofonistin CO STREIFF auf Twin Lines (Intakt CD 073) nicht
wenig wundern. Von Enttäuschung ob dieser "Rückkehr" zur Tonalität kann
jedoch (wenigstens bei mir) nicht die Rede sein, so frisch und unkitschig
weiss Schweizer die meist warm, ja bluesig temperierten Kompositionen
Streiffs zu interpretieren. Schweizer lässt, quasi als bereits gesettelte
elder stateswoman, der talentierten ehrgeizigen Newcomerin Streiff breiten,
für meinen Geschmack etwas zu breiten Entfaltungsraum. Etwas mehr Schweizer
und etwas weniger Streiff hätte vielleicht gutgetan, zumal Streiffs
Kompositionen nicht durchgängig der wahre Bringer sind, sondern auch
mal ein wenig am unteren Rand meiner Akzeptanzschwelle vor sich hingrooveln.
Il deserto, oltre a far gola
a chi ne vuole il massimo sfruttamento delle risorse petrolifere, piuttosto
che a chi vuole ambientare le proprie strategie militari, può diventare
anche metafora di uno sviluppo musicale che è frutto di corrosioni e
di stratificazioni di materiali. E questo Quattara del giovane sestetto
di Co Streiff (sassofonista svizzera già collaboratrice della Vienna
Art Orchestra e di Irène Schweizer) sa raccogliere a piene mani spunti
dalle diverse tradizioni avant-jazz degli ultimi trent'anni: le festose
fanfare dell'Art Ensemble of Chicago, certo africanismo più naïf, l'esuberanza
della miscela etnica di gruppi come i Brotherhood of Breath e l'eclettismo
galattico di marca Sun Ra. Una vera commistione di stili che però convivono
all'interno dell'ensemble in maniera non forzata. Una grande sezione
ritmica si fa notare per il suo modo di non voler apparire protagonista
a tutti i costi, così come spiccano i tre fiati (la Streiff al soprano
e alto, Tommy Meier al tenore, clarinetto basso, Christoph Gantert alla
tromba), che si dividono la scena senza inutili protagonismi. Qattara
si snoda senza linee di discontinuità tra momenti strutturati, in cui
ben risaltano le doti di compattezza del gruppo, ed episodi di esplorazione
improvisativa: dall'iniziale omaggio al dio Saturno, Ra, allo "standard"
di Roscoe Mitchell, Nonaah, un percorso ricco di spunti per un CD che
raramente si dilunga in eccessivi sfoggi di padronanza strumentale.
Ottima pure la rilettura di Blues for Zen di Joseph Barman, che ci evoca
quella mai sopita forza della natura espressa dal jazz-black-power anni
'60. Quei tempi sono definitivamente cambiati, ma noi stiamo aspettando
sempre quella ventata di aria bollente e ad ogni prodromo riusciamo
ad inebriarci.
...Ultimo squarcio di provocatoria
ironia e gustosissime composizioni è il disco a nome della sassofonista
elvetica Co Streiff, già componente della Vienna Art Orchestra e compagna
di viaggio della pianista Irène Schweizer. A capo di un divertente sestetto,
la Streiff innalza di molto la temperatura di un sound ricco di funky
(Ra) e belle compatibilità orchestrali (Siwa). Tra momenti ondivaghi
di notturna meditazione (Quattara), sprizzi di minimali orientalismi
(Derb el-Mahashas), squisita cantabilità mitteleuropea dall'andamento
narrativo (Message From Thule), l'ensemble offre una stimolante miscellanea
di sorprese e illuminazioni e danzabili movimenti dal sapore etnico
come esposto in Second Celebration, coinvolgente reprise di un vecchio
tema firmato da Andrew Cyrille. |