INTAKT RECORDS – CD-REVIEWS

SCHWEIZER - BENNINK
WELCOME BACK
Intakt CD 254 / 2015

 

Ulrich Steinmetzger, Leipziger Volkszeitung, 21. 8. 2015

 

 

Chris Monsen, Klassenkampen, Musikmagasinet, Norway, 24.8. 2015

 

 


Tom Gsteiger, St. Galler Tagblatt, 26. August 2015

 

Mach dein Ding, bis dich die Katze frisst. IRÈNE SCHWEIZER & HAN BENNINK, die mit Jahrgang 41/42 Schulkameraden sein könnten, sind in einem Alter, in dem jedes Lebenszeichen an sich schon tröstlich ist. Die beiden schwirren freilich mit Zeitplänen umeinander, eng wie die von gefragten Selbstvermarktern. Für Welcome Back (Intakt CD 254) steckten sie in den Hard Studios Winterthur die Köpfe zusammen, in denen die European Echos, wo die beiden sich erstmals begegnet sind, auch 46 Jahre danach nicht aufhören, nachzuhallen. Sie teilen immer noch eine Vorliebe für Thelonious Monk, wie 'Eronel' zeigt. Und frischen mit Johnny Dyanis besinnlichem 'Ntyilo, Ntyilo' Erinnerungen auf an ihr Quartett mit dem Südafrikaner und mit Rüdiger Carl anno 81. Als gemeinsame Basis teilen die beiden nicht nur alle Tricks des Freispiels, sie teilen auch ein Fundament im Hardbop, mit dem sie begannen, und eine afrikanische Ader, exemplarisch bei Schweizers Capejazzgroove 'Bleu Foncé'. Und sie teilen den Spaß an alten Schmonzetten wie dem Walzerchen 'Meet Me Tonight in Dreamland', das von 1909 stammt, und der ollen Kamelle 'I Surrender, Dear', das 1931 von Bing Crosby und Louis Armstrong populär gemacht, aber auch schon von Monk und Abdullah Ibrahim veredelt worden ist. Eine weitere Schnittmenge gibt es in Misha Mengelberg, das skurrile 'To Misha with Love' ist dem von Alzheimer in den Ruhestand gezwungenen Freund gewidmet. Noch rappeln und klimpern die beiden, wuselig wie gleich zwei weiße Kaninchen. Nur viel, viel lockerer. Ob federnd oder klappernd, gut gelaunt rocken und rollen sie drauflos, mit klippspringerischen Kapriolen und alpenseglerischer Turbulenz, mit prickelndem Funkenflug, verflixten Intervallsprüngen oder dem launigen 'Rag' mit Besenbeat. Bis zu solch pfiffig abgeklärter Souveränität haben andere noch viel vor sich.
Rigobert Dittmann, Bad Alchemie, BA 87, 2015

 




Alfred Wüger, Schaffhauser Nachrichten, 18. August 2015 (Grosse Ansicht)


 

Correte ad acquistare questo strepitoso CD, se non lo avete ancora fatto. In questo progetto si ritrovano i risultati più inaspettati raggiunti dal jazz contemporaneo. Vi aleggia una gioiosa comunicativa, che si contraddistingue rispetto all'attuale produzione europea di stampo avanguardistico. A ciò si aggiungano ritmi ipnotici e danzanti che fanno di questo disco una rara avis. Il duo Irene Schweizer-Han Bennink ricorre ad una nuova chiave di lettura di un processo destrutturante, che riguarda la storia e l'estetica jazzistica.

Intorno ai parametri musicali sopra citati si intesse un'inedita riflessione intorno a ritmo, swing e armonia. Nel processo di decostruzione e ricomposizione della forma, l'astrazione di base viene integrata dalla variazione tematica. Come ben testimonia "Apus Melba," l'approccio monkiano va ad arricchire quello di Cecil Taylor, principale modello pianistico della Schweizer. L'interpretazione più straniante la si ritrova in "Meet Me Tonight in Dreamland." È l'epilogo dell'attenzione rivolta all'aspetto melodico più seducente, dove giganteggia la pianista qui ai suoi vertici espressivi.

Welcome Back è un disco che stupisce per un virtuosismo scintillante, dove i protagonisti hanno scelto per lo più la strada dell'aforisma. Il duo depotenzia l'approccio magmatico, astratto e cerebrale di precedenti progetti, alla ricerca di una vena melodica più tersa e cristallina. C'è una grande empatia in questo duo, nell'imprimere ad ogni brano combinazioni diverse. Emergono colori, ritmi, echi appartenenti a stili differenti e rivitalizzanti in un'ottica davvero originale. Ne discende una musica palpitante e coinvolgente come si trova in pochi CD oggi in commercio.
MAURIZIO ZERBO, All About Jazz Italia, September 21, 2015

 




Christoph Merki, Tages-Anzeiger, Zürich, 22. September 2015

 

 

 

Understanding unspoken things is what IRENE SCHWEIZER and HAN BENNINK have together. The pianist and drummer, at one time making up the bad boys/girls of the emerging new music scene of Europe, have crossed paths many times but WELCOME BACK [Intakt records CD 254/2015] is just the second time the two have recorded as duo. The other recording was also on Intakt [#10]. This is a wonderful listen of 14 tracks [48:53]. It is also a comfortable listen and largely misses the demands of the listener that their music of the past made. Perhaps they have mellowed into a comfort zone or more likely it is a combination of that and after 50+ years the ears have caught up with them. I'm old enough to remember when Monk was un-discernible to many writers. This April 2015 set is a pleasure but don't expect the challenge of earlier work. Schweizer is in full command and one senses she could take an improvisation anywhere and Bennink , who too often plays the Harpo Marx of jazz, here plays the music, not to the crowd as he is want to do. Mature music and satisfying.
Robert D. Rusch, Papatamus, Cadence Magazine, September 2015

 

Di canoni e cliché si ha già smodata messe (ove non pletora) e non vi si ritroverebbe peggior controindicazione nella pratica della musica improvvisata, eppure il free non si è rivelato esente da stratificazioni formali o "identificabili stilemi".
Difficile comunque esplicitare riserve a priori su due campioni, estremamente fedeli all'ambito, e non certamente per comodità identitarie o abitative.
Di tocco smaltato e bagaglio oceanico, Irène Schweizer s'impone, e non da adesso, quale autorevole decana del "movimento" free, che ha travalicato da tempo la dimensione "euro" (se la connotazione mai assumesse limiti continentali di sorta) per congiungersi saldamente alle prime generative istanze del genere, che nel presente caso mantiene saldo il testimone almeno dei due sommi Thelonious Monk e Cecil Taylor, senz'affatto sminuirne il consolidato carisma personale.
Dopo più partecipazioni alle sessions di Han Bennink si licenzia l'impressione di come questi tenda a ripetersi, ritualmente, o almeno auto-citarsi nelle sue soluzioni sceniche, è in realtà grande se non magistrale la sua attitudine a reinventarsi e riargomentare gli intendimenti sull'articolazione ritmica, rudimentale e macchinosa nelle prime impressioni formali, in realtà brillante e centrifuga nelle sue estensioni.
Dividendo i contributi di firma, ma anche rivedendo più standard, si conferisce intenso corpo e respiro alla lirica Meet me tonight in Dreamland (di Friedman e Whithson), e si rinnova con solennità il portato cantabile di Ntyilo, Ntyilo (a firma Johnny Dyani), nelle semi-composizioni ripartite tra i due si conferisce omaggio al capitale Misha Mengelberg in un sfuggente e stralunato omaggio (To Misha with Love), agitando il vessillo della rivolta nella serrata e sincopata Trap 5 e, intuitivamente, la tesa e brillante Free for All, spazzando via qualunque inessenziale scoria nel finale, speditissimo tempo di marcia della monkiana Eronel.
Da parte della pianista una cantabilità sostenuta, torrenziale ma raramente piana, assortita ed integrata dal travaglio del batterista-agitatore, intento ad infittire le scansioni ritmico-figurative e maggiormente esposto nel ruolo di sabotatore formale.
Di ritorno sui solchi dell'etichetta elvetica dopo una delle sue primissime sortite discografiche (e già datante un ventennio orsono!), la coppia di giovanili decani appare a pieno agio investendosi in tale terreno di gioco ma con tangibile partecipazione autoriale, confermandosi stanzialmente entro "quel lato" del free che non ha abdicato al proprio agitante ruolo, mantenendo alta la guardia almeno in termini di invenzione e sorpresa.
Aldo Del Noce. Jazzconvention, Lunedì 28 Settembre 2015

 

 

Correte ad acquistare questo strepitoso CD, se non lo avete ancora fatto. In questo progetto si ritrovano i risultati più inaspettati raggiunti dal jazz contemporaneo. Vi aleggia una gioiosa comunicativa, che si contraddistingue rispetto all'attuale produzione europea di stampo avanguardistico. A ciò si aggiungano ritmi ipnotici e danzanti che fanno di questo disco una rara avis. Il duo Irene Schweizer-Han Bennink ricorre ad una nuova chiave di lettura di un processo destrutturante, che riguarda la storia e l'estetica jazzistica.

Intorno ai parametri musicali sopra citati si intesse un'inedita riflessione intorno a ritmo, swing e armonia. Nel processo di decostruzione e ricomposizione della forma, l'astrazione di base viene integrata dalla variazione tematica. Come ben testimonia "Apus Melba," l'approccio monkiano va ad arricchire quello di Cecil Taylor, principale modello pianistico della Schweizer. L'interpretazione più straniante la si ritrova in "Meet Me Tonight in Dreamland." È l'epilogo dell'attenzione rivolta all'aspetto melodico più seducente, dove giganteggia la pianista qui ai suoi vertici espressivi.

Welcome Back è un disco che stupisce per un virtuosismo scintillante, dove i protagonisti hanno scelto per lo più la strada dell'aforisma. Il duo depotenzia l'approccio magmatico, astratto e cerebrale di precedenti progetti, alla ricerca di una vena melodica più tersa e cristallina. C'è una grande empatia in questo duo, nell'imprimere ad ogni brano combinazioni diverse. Emergono colori, ritmi, echi appartenenti a stili differenti e rivitalizzanti in un'ottica davvero originale. Ne discende una musica palpitante e coinvolgente come si trova in pochi CD oggi in commercio.
MAURIZIO ZERBO, All About Jazz Italia, September 21, 2015

 

Pirmin Bossart, Kulturtipp, Schweiz, Oktober 2015

 

 

 



Philippe Carles, Jazzmagazine, Octobre 2015, Paris, France

 



Ulfert Goeman, Jazzpodium, Deutschland, Oktober 2015

 

The opening goes off like a cartoon alarm clock, shrill and insistent, drums and piano seeming to argue who will awaken the listener first. The ensuing march is more satirical, almost more Prokofiev that Irène Schweizer or Han Bennink which means this is less remembering the past than looking forward and yet it is, in a somewhat weird sense, welcome back that makes you and I want to look forward. Forward to every anticipated note, phrase and jagged, angular line. It is music celebrating life as death takes a holiday and summer marches in, bouncing back to spring, leaping into fall and then into the spare – not austere – loveliness of winter. The four seasons? Certainly not, but with music rippling around you are treated to jazz hot and hybrid, as well as jazz icy cool.

Significantly Irène Schweizer and Han Bennink come to this music – or appear to – without even scant acknowledgement of its structural anomalies, it's weird and wonderful digressions, transformations and mutation. Welcome Back is a work of true genius. It's a work teetering between the rational and irrational, the comic and tragic, the real and the imagined. Just when you think it's slipping into abstraction, something surprising happens to make you think otherwise. Irène Schweizer and Han Bennink make following its thought processes, its phantasmagorical journeying between worlds, so much easier. They make perfect sense of the seemingly senseless. Still nothing is real and nothing senseless; only a potent swashbuckling foray into ragtime, interpretations of the blues, irascible second line and third stream… everything that jazz is and is not.

The question is how? Both Irène Schweizer and Han Bennink know all too well that it isn't enough to believe in the integrity of every bar of every piece of music. In the musical geometry of the scheme of things lines run jagged and yet horizontal to harmony that shoots up as if propelled by the liquid fire of Irène Schweizer's harmonics and as if this were not enough then there is the roguish rhythm-intransitive that collides at the exact bisection of melody and harmony. It is often hard to separate the psycho-physio-personas of each of the musicians. "Trap 5" could well be Irène Schweizer's way of presenting the rattle and hum of the rhythmist as "Rag" could be Han Bennink's repartee. But there are also moments of relative sanity – in the crackle of "Firewood", for instance, or in the tenderness of Irène Schweizer and Han Bennink's heartbreaking song for Misha Mengelberg – "To Misha with Love".

As if that were not enough the musical carousel ends with two charts that were right out of Thelonious Monk's playbook: "I Surrender Dear" and the iconic "Eronel". This is an album of great originality. At times it may sound elusive, more 'disguised' in its melding of the elements, but which always binds the ingredients in extraordinary ways and gives even the uninformed listener a subliminal sense of order. There are times when the edict – imagined or otherwise – of 'chaos instead of music' is even appealing. And when musicians can make that happen then you know that they have reached a rarefied realm where everything comes together in an electromagnetic alignment of a real and imagined musical cosmos!
Raul da Gama, Jazzdagama, Canada, Oct 4, 2015

 


Martin Schuster, Concerto Magazin, Oktober/November 2015, Österreich

 

 

GERMAN CRITICS AWARD
PREIS DER DEUTSCHEN SCHALLPLATTENKRITIK/ VIERTELJAHRESLISTE 4/2015

 

 

Daniel Spicer, Jazzwise, London, November 2015

 

 

Steff Rohrbach, Jazz'n'More, November 2015

 

Guido Fischer, Jazzthetik, November-Dezember 2015

 

 


PREIS DER DEUTSCHEN SCHALLPLATTENKRITIK
Irène Schweizer und Han Bennink
: Welcome Back. Intakt INT 254 (harmonia mundi)  

Diese zwei Namen stehen für die Erfindergeneration der improvisierten Musik in Europa. Seit den Berliner Festivals und Workshops der weltweit einflussreichen Free Music Production (FMP) in den siebziger Jahren haben Irène Schweizer und Han Bennink unzählige Konzerte zusammen gespielt. Ihre erste Duo-CD stammt aus dem Jahr 1995, zwanzig Jahre später zeigen die beiden Seelenverwandten, Pianistin und Schlagzeuger, wie dringlich und pulsierend sie ihre Musik aus dem afroamerikanischen Vorbild in eine originär europäische Identität transformiert haben und wie widerständig und wahrhaftig sie ihre Haltungen bis heute dialogisch zu großer Kunst formen.
(Für die Jury: Christian Broecking), November 2015 

 

 

 

 

Dette er faktisk bare andre gang at den sveitsiske pianisten Iréne Schweizer og den nederlandske trommeslageren Han Bennink møtes i studio for en duoinnspilling. Første gang var såpass langt tilbake som i 1995, da også på Intakt.

Men nå er de heldigvis tilbake i full mundur.

Schweizer har i lang tid vært en av Europas ledende fritt improviserende pianister, med en haug med plateinnspillinger bak seg. Han Bennink kjenner de fleste av våre lesere fra en rekke prosjekter, sammen med andre nederlandske musikere i musikerkollektivet Instant Composers Pool (ICP), og med flere andre mer eller mindre planlagte prosjekter.

I april i år møttes de to igjen, denne gangen i Hard Studio Winterthur i Sveits, for å se hva de kunne få til.

Og fikk det til, gjorde de. For dette er blitt en perle av en duoplate, med to musikere som er så dedikerte til denne musikken, at det er en fryd å høre på.

Det starter med den kollektive «Welcome Back», som nesten kan høres ut som om Erroll Garner var tilbake i 2015-tapning.

Derfra går man over i Benninks to komposisjoner «Kit 4» og «Trap 5», som er to perkussive stykker musikk, hvor Schweizer følger Bennink til døra med strålende spill. Schweizers «Free For All» tar det hele ned, før vi får Friedman og Whitsons «Meet Me Tonight in Dreamland», en ballade som blir svært vakkert og respektfullt tolket av de to.

Schweizers «Verflixt» er en friere sak, hvor de to kommuniserer villt bra og tett, før vi får hennes «Rag». En rag som er liutt utenfor skjemaet, men som den norske ragtime-spesialisten burde sjekke ut.

Det kommer flere låter laget av de to, før platas desiderte perle kommer, Johnny Dyanis nydelige «Ntylio, Ntyilo» fra Dyanis samarbeid med Dudu Pukwana. Dette er en av de vakreste jazzballader som er laget, og den blir fint behandlet av Schwizer og Bennink på denne innspillingen.

Vi får noen flere låter gjort av de to, på fortreffelig måte, før det hele rundes av med Harry Barries' «I Surrender, Dear» og Thelonious Monks «Eronel».

Innspillingen er en god blanding av gammelt og nytt, og mye kan høres ut som om det er en av de gamle pianohelter som er gjenoppstått og har gått i kompaniskap med det mest vitale trommeslagere i NATO.

Dette er blitt en aldeles nydelig innspilling fra to av Europas aller beste jazzmusikere, og hvis disse to dukker opp på en eller annen agents turnélister, så er det bare å booke, for bedre duospill enn de man ikke i 2015!

Jan Granlie, Salt Peanuts – a pan-Nordic/Baltic website, 12. august 2015

 

 

 

Swiss pianist Irene Schweizer and Dutch drummer Han Bennink share a long and fruitful lineage within the Euro improvisation scene as Welcome Back marks the their second duo recording. However, the pianist has recorded duets with venerable drummers, Andrew Cyrille, Gunter Baby Sommer and others of note, while Bennink has participated in duets with pianists, Cecil Taylor and Myra Melford to cite a few. The musicians' respective legacies could in theory, populate a book. Yet, they're at it again with these largely concise pieces that span quite a bit of genres and musical vernaculars besides the omnipresent improv domain.

Schweizer is also a drummer and comps Bennink with massive block chords in addition to their frisky endeavors built on pliant foundations. And Bennink maximizes the tonal range and possibilities of his kit via rolling toms, zesty brushwork and deft cymbals hits. More importantly, it's evident that the artists are intently listening to each other. On "Trap 5," Schweizer's gorgeous arpeggios induce a push and pull episode as they switch gears along the way, but relax a bit on the swinging "Rag," featuring the pianist's affable stride phrasings.

The album projects a mélange of styles, colors and quaintly articulated hooks, engineered with blues riffs, classical overtones and fractured theme-building flare-ups. No doubt, it's a variegated mix. The pianist also tosses conventional frameworks into the program, evidenced by the time-honored pop ballad, "I Surrender, Dear" and closing the set with a brief and buoyant reading of Thelonious Monk's "Eronel." Hence, it should come as no surprise that the artists' impenetrable solidarity adds another dimension to their enlivening exchanges and beaming telepathic powers.
By GLENN ASTARITA
Glenn Astarita, All About Jazz, USA, September 14, 2015

 

 

Taking measure of Irenè Schweizer's percussive proclivities at the keys it only makes sense that many of her most successful creative encounters have occurred in the company of drummers. Over the course of several decades, the Swiss pianist has built an impressive catalog of duets with some of the doyens of the instrument including Louis Moholo, Günter Sommer, Andrew Cyrille and Pierre Favre. Welcome Back embodies her second such partnership with Dutch provocateur Han Bennink and it's a doozy, recorded in the studio in the spring of this year and showing both in the finest performance light.

Bennink has a preternatural talent for coaxing out the comedic, even slapstick, sides of his musical colleagues and he brings that precision sense of madcap near-absurdity directly to bear on Schweizer who welcomes it completely from her piano bench. As a solely audio document the disc can't capture the visual gags and cues that often accompany Bennink's calculated antics, but the hairpin turns, sudden suspensions and precipitous shifts in dynamics all come through loud and clear as with the drummer's impromptu switch to sibilant, soft-shoe brushes midway through the opening title piece. Bennink may occasionally act the obdurate clown, but he's always in complete control of his faculties and kit.

"Kit 4" and "Trap 5" affix apposite wordplay to the pair's musical colloquy with Bennink's blurred sticks mirroring Schweizer's frantic fingers in the construction of a cascading rhythmic deluge. All of it transpires in clean and crisp fidelity with Schweizer's piano sounding particularly transparent and immediate. Compositional credits divide pretty evenly between the two players, but they also find space to pepper in a handful of covers including a fractured-swing distillation of "Meet Me Tonight in Dreamland", a heartfelt version of Johnny Dyani's "Ntyilo Ntyilo" and a playfully poker-faced, but persuasive take on Monk's "Eronel". The late-in-program rendition of "I Surrender, Dear" brings with it a whiff of reflective whimsy considering the sweat-breaking series of paces the players have put one another through.

Derek Taylor, Dustedmagazine, Sep. 2, 2015

 

 

 

Deux adeptes des courses-poursuites se retrouvent, signent et persistent. Deux marathoniens du rythme dont l'endurance n'est plus à prouver soulèvent la chose ternaire à bout de bras et peu de monde y résiste.

Il y a chez l'une (Irène Schweizer) des récits libres et éclatés (Trap 5), des sentiers jamais fermés, des débordements de sensible (Rag), des voiles tayloriennes (Firewood) et, toujours, quelque arôme d'Afrique lointaine (Bleu foncé, Ntyilo Ntyilo).

Il y a chez l'autre (Han Bennink) un débordement continu qui ne laisse que peu de place aux espaces réparateurs (on est marathonien ou on ne l'est pas). On peut facilement être décontenancé par le batave, par ses bourrasques soudaines, par ses sorties de route. Evitant les cymbales, préférant fouetter les fûts, on doute parfois de son écoute de (à) l'autre. Mais il suffit d'un court et dense Eronel de l'ami Monk pour rassurer nos oreilles. Et se dire que le marathon ici proposé n'exclut nullement sensibilité ni profondeur.
Luc Bouquet, Le son du grisli, France, 4 Decembre 2015

 


 



Marc Chenard, La Scena, Montreal, Canada, December 2015

 

 

Les disques qui vous ont (peut-être) échappé durant l'année passée
de Jean Buzelin , Culturjazz, France, 31 janvier 2016  

Nous continuons à écrémer les étagères où se sont réfugiés, durant l'année 2015, nombre de disques fort intéressants, lesquels ont dû patienter avant de faire l'objet de ce simple article d'information qui, je le rappelle, n'est en aucun cas une revue critique.
Nous commencerons par l'un des plus beaux labels indépendants européens, Intakt, maison suisse fondée il y a 30 ans par Patrik Landolt et qui, pour l'occasion, a édité un catalogue comprenant la reproduction en couleurs des 253 CD édités durant cette période. Lorsque l'on feuillette ce catalogue, on est frappé par la cohérence de la collection, les choix effectués, les risques assumés, et le suivi de nombreux artistes qui, en toute confiance du producteur, apparaissent régulièrement, certains depuis les tout débuts : Irène Schweitzer, Barry Guy, Günter Sommer, Pierre Favre, Elliott Sharp, Sylvie Courvoisier, Lucas Niggli, Alexander von Schlippenbach… puis Aki Takase, Fred Frith, Ingrid Laubrock, Ulrich Gumpert… les Américains Anthony Braxton, le Trio 3, Tom Rainey, Marylin Crispell… et tous ceux dont vous avez pris connaissance si vous avez eu la gentillesse de suivre mes chroniques.

Le guitariste Fred Frith apparaît dans deux duos improvisés très différents, l'un avec Barry Guy, « Backscatter Bright Blue » (Intakt 236), l'autre avec la Danoise Lotte Anker, qui explore toutes les possibilités de ses saxophones, « Edge of the Light » (Intakt 237). Il rejoint ensuite la pianiste Katharina Weber et le batteur Fredy Studer dans une séance d'improvisation libre, tendue, tantôt nerveuse, parfois bruitiste (dans le sens "musique contemporaine"), et, sommes toutes, peu lyrique, malgré l'intense "swing libre" du grand Fredy Studer : «  It Rolls » (Intakt 248).

La pianiste Aki Takase dialogue, quant à elle, avec le violoniste Ayumi Paul, qui travaille habituellement dans le champ classique et contemporain. L'atmosphère de leur disque se situe dans un esprit très "milieu du XXe siècle". Ainsi sont évoqués Satie ou Stravinsky, mais Bach et Mozart ne sont pas oubliés non plus. Mais qu'on ne s'y méprenne pas, il s'agit de création musicale, et de la plus belle manière qui soit : « Hotel Zauberberg » (Intakt 244)
(OUI, on aime !).

Le Schlippenbach Trio est un groupe de briscards de la free music, le pianiste et ses compères Evan Parker (ténor sax) et Paul Lovens (batterie) jouent ensemble depuis 45 ans ! Mais les uns comme les autres ont évolué et pris du recul ; ce n'est plus le free dévastateur des années 70, et leurs quinze pièces directement improvisées sont à la fois très différentes et parfaitement cohérentes. On appréciera particulièrement le jeu lyrique et "coltranien" de Parker. Trois géants : « Features » (Intakt 250).
Ulrich Gumpert, lui aussi un vétéran, fut l'un des grands pionniers de la nouvelle musique est-allemande à l'époque où il n'était pas facile de franchir le mur ! Il est entouré ici de trois musiciens plus jeunes avec qui il joue régulièrement, notamment le saxophoniste Jürg Wickihalder, dont nous avons déjà parlé, toujours proche de Steve Lacy. Un excellent et réjouissant disque de jazz : « A New One » (Intakt 257).
Le Omri Ziegele Billiger Bauer Nonet comprenant deux saxophones (Omri Ziegele et Jürg Wickihalder), la pianiste Gabriela Friedl, un trombone, une guitare, une basse électrique, une contrebasse et deux batteries qui accompagnent les vocaux de Isa Wiss, me laisse par contre un peu sur ma faim. Malgré la qualité du travail, ces « 15 Herslider » mêlent texte et musique de façon un peu alambiquée (Intakt 247). Je n'accroche pas non plus à l'univers de la chanteuse Sarah Buechi, et à sa voix éthérée, certes parfois persuasive, mais aux tonalités très égales dans un genre que j'appellerai "jazz folk libre et souple", même si je dois reconnaître l'intérêt des textes et la qualité du travail musical : « Shadow Garden » (Intakt 259).
Autre saxophoniste suisse déjà connu dans ces colonnes, Christoph Irniger, accompagné par Raffaele Bossard (basse) et Ziv Ravitz (drums), joue une musique très fine qui manque peut-être d'accents et de contrastes mais n'exclut pas une certaine densité. Cela vient en partie du jeu maîtrisé, plutôt linéaire et sans aspérités du saxophoniste qui possède un grand sens de la mélodie. « Octopus » (Intakt 253) est un toutefois un beau disque.

Et l'on retrouve la pianiste Irène Schweizer, artiste N°1 du catalogue – sur les huit premiers disques, sept lui sont consacrés, dont le 001 – qui affronte en duo le grand percussionniste Han Bennink, genre de confrontations auxquels ils se sont rendus maîtres. Changements de rythmes, incessantes relances, drumming foisonnant… parcourent ces dix improvisations et quatre reprises. Quelle fraîcheur ! Quand on pense à tous ces "jeunes" musiciens et chanteurs qui jouent avec application la musique de leurs grands-pères. Rien ne vaut les grands-parents originaux, « Welcome Back » en est une preuve irréfutable (Intakt 254)
(OUI,on aime !).

Aly Keïta (balafon, kalimba) est Ivoirien, Lucas Niggli (percussions) et Jan Galega Brönnimann (clarinettes et saxo soprano) sont tous deux nés au Cameroun et amis d'enfance. La réunion des trois aboutit à un vrai travail d'écoute, de compréhension et d'improvisation – rien à voir avec une pseudo world music superficielle et opportuniste. Une musique entraînante, agréable – pourquoi pas ? – et vraiment originale : « Kalo-Yele » (Intakt 261).

Déjà auteur de deux disques en trio (avec Niggli et Michel Godard), l'accordéoniste italien Luciano Biondini se présente cette fois en solo et réinterprète – il compose également – une série de belles mélodies populaires italiennes, en jouant sur la tradition folklorique méditerranéenne et l'improvisation jazz ; toute la nostalgie poétique que véhicule cet instrument quand il est si bien joué se retrouve dans « Senza fine » (Intakt 255) (OUI, on aime !)
(OUI, on aime !)

Un volet important de la production Intakt est réservé aux musiciens américains, de générations et de communautés différentes, parmi les plus intéressants au niveau de l'engagement, de la recherche musicale, de l'honnêteté artistique et de l'idée qu'ils se font de leur travail.
Familier du label avec le Trio 3, le saxophoniste Oliver Lake rencontre cette fois le contrebassiste William Parker, soit, d'un mot, le tranchant de l'alto face à la basse profonde, et d'un autre, la création qui s'appuie sur la grande tradition afro-américaine. Ils sollicitent ainsi Marvin Gaye et poursuivent avec une série de duos d'autant plus intenses – l'un porte le nom de notre regretté ami Jacques Bisceglia – qu'ils sont encore sous le choc de la disparition, survenue cinq jours avant la séance, de leur ami le trompettiste Roy Campbell. D'où le titre de leur album : « To Roy » (Intakt 243). C'est également un plaisir de rencontrer, pour la première fois sur Intakt, le grand saxophoniste ténor Chico Freeman pour un autre duo avec un contrebassiste, Heiri Känzig, musicien suisse né à New York – il joue dans le trio de Harry Sokal – dans une expression plus "coulante", moins free si l'on veut. On savoure ce double plaisir, en retrouvant le beau et solide son du ténor lyrique et de grande tradition, en particulier dans les ballades où il excelle : « The Arrival » (Intakt 251).
Poursuivons par une série de trios avec, tout d'abord, celui d'Aruan Ortiz, musicien d'origine cubaine résidant à Brooklyn. Ce pianiste de 42 ans a déjà une carrière riche et variée, à Cuba, en Espagne et aux États-Unis, tant dans la tradition afro-haïtienne que dans les formes ouvertes des musiques contemporaines. On remarquera notamment le travail harmonique et rythmique, avec une dynamique et une pulsation propres et des rythmes complexes avec lesquels le batteur Gerald Cleaver fait toujours merveille. Le bassiste Eric Revis étant également excellent, cela donne un disque particulièrement réussi et réjouissant, un vrai et rare bonheur : « Hidden Voices » (Intakt 258)
(OUI, on aime !).

Le niveau reste haut avec le trio Open Loose du contrebassiste Mark Helias, avec Tony Malaby (sax) et Tom Rainey (drums), un trio très ouvert qui existe depuis 1996, et demeure constamment en recherche. Une belle musique, bien écrite et impeccablement jouée : « The Signal Maker » (Intakt 245).
Dans un esprit assez voisin, Tom Rainey prend les commandes en s'entourant de la saxophoniste Ingrid Laubrock et de la guitariste Mary Halvorson, deux musiciennes dont nous avons souvent vanté la qualité et l'originalité. Au jeu très maîtrisé, parfois un peu "plaintif" et au discours sinueux de la première, s'ajoute celui, extrêmement intéressant, en particulier dans la manière de jouer avec des accords inusuels de la seconde. Les improvisations collectives qui, dans un cadre très ouvert, progressent en intensité pour déboucher sur un post free recherché, sont le résultat d'un travail de groupe qui évolue depuis plusieurs années. Une musique forte qui s'écoute : « Hotel Grief » (Intakt 256). Les mêmes, plus Kris Davis (piano), John Hébert (basse) et, à deux reprises, Oscar Noriega (clarinette) forment le Ingrid Laubrock Anti-House dont nous avons déjà parlé. Une vraie famille musicale qui se concentre sur les compositions, très modernes et ouvertes aux passages libres, de la saxophoniste : « Roulette of The Cradle » (Intakt 252).
Et une troisième pour Mary Halvorson, en duo "intimiste" avec le contrebassiste Stephan Crump. Les compositions de l'un ou de l'autre, très contemporaines, se remarquent par leurs qualités mélodiques. Grâce à son utilisation très fine et mesurée de l'amplification, la guitare, sous les doigts de Mary Halvorson, est parmi ce qui se fait de mieux sur l'instrument à l'heure actuelle (avec Joe Morris) : « Secret Keeper » (Intakt 249)
(OUI, on aime !).

Enfin, nous sommes toujours heureux de retrouver ce beau duo de vingt ans, Marilyn Crispell (piano) et Gerry Hemingway (batterie, percussion, vibraphone), qui ne s'attache qu'à l'essentiel : une musique totale, remarquable et passionnante : «  Table of Changes » (Intakt 246). …
Jean Buzelin , Culturjazz, France, 31 janvier 2016  

 

 

Tom Greenland, The New York City Jazz Record, February 2016

 

 

Christian Broecking, Berliner Zeitung, 24-26 Dezember 2015

 

 

Urs Berger, Biel-Benkemer zu Dorf-Zytig, 29. Januar 2016

 


Ken Waxman, The Whole Note, Toronto, February 2016

 

 

 

John Sharpe, All About Jazz, March, 28, 2016

 

 

PianistInnen und Drummer bilden im freien Jazz gern Duos. Das ist auch irgendwie schlüssig, denn das Vexierspiel von Rhythmus und Melodie lässt sich besonders eindrücklich abbilden. Irène Schweizer hat dies unter anderem schon mit Louis Moholo-Moholo und besonders schön mit ihrem Landsmann Pierre Favre getan. Bei Intakt liegt nun ein schöner Tonträger mit 14 Miniaturen vor, die Schweizer im Zwiegespräch mit dem Holländer Han Bennink aufgenommen hat. Das Meiste haben die beiden verfasst, und manches kann da durchaus noch überraschen. Wenn zum Beispiel Blue Fonce als Reflexion eines Souljazz aus den 50ern daherkommt und dennoch nicht von Bobby Timmons ist. Ein paar Klassiker haben sie ja auch aufgenommen, I Surrender, Dear des Swingsängers Harry Barris, oder Ntyllo, Ntyllo der südafrikanischen Ikone Johnny Dyani, sehr straight, sehr schlicht und wunderschön. Da hat vieles Platz auf der Soundpalette der beiden. Vom kraftvollen improvisierten Duo (Titelnummer: Welcome Back), ein Stück das in den gut sechs Minuten vieles präsentiert, was diese Besetzung möglich macht, Kraft und Energie ebenso wie ein beschwingter Parforceritt, lyrische Zweisamkeit ebenso wie ein aufgeregtes schnatterndes Zwiegespräch. Bis zur Schnulze Meet me Tonight in the Dreamland, auch ziemlich schnörkellos quasi eins zu eins gespielt, ohne Verfremdung und ziemlich kitschig.
haun, Freistil 66, Österreich, 2016

 

 

 

John Sharpe, All About Jazz, December 2016

 

 

 

Thomas Stabiler, Esslinger Zeitung, 14.3.2017

 

 

 

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