Un panorama vasto e cangiante, d’ardita astrattezza, caratterizza la progettualità di un trio acustico che sembra suggellare ulteriormente un già nutrito filone (fra i vari non-dichiarati) della label Intakt in tema di combinazioni strumentali a tre (che può vantare partecipanti d’assodato carattere); la maggior esposizione del nome di Tim Berne non sembra però farne un ‘suo’ trio bensì una paritaria associazione, che si disvela abile nel condividere suggestioni peculiari quanto inattesa abilità rappresentativa.
Ritenendo che le pulsioni eversive e la mordente linea creativa di quest’ultimo meglio s’acconci alla formazione jazz più pugnacemente intesa, non si immagini a priori che gli riesca costrittiva una dimensione, per così dire, più cameristica: fresco dalla prova in duo in associazione al pianista Matt Mitchell (One More, Please, 2022) il sassofonista e creativo riformula certe vedute d’ensemble con una peculiare formazione a due fiati e uno strumento ad arco di tenorile timbrica, inclusiva di ulteriori ingredienti, quali il mantice e la voce.
Nello specifico trattiamo di rodate frequentazioni, assai longeva con il violoncellista Hank Roberts e comunque non nuova con la clarinettista, accordionista e vocalist Aurora Nealand, già rilevati a svariato titolo nelle orbite berneiane ma titolari di distinti e corposi curricula, e quanto agli esiti si direbbe che Oceans And configuri un’opera a progetto, investita su sensibile intercambio e geometrie ardite.
Tale si palesa l’apertura, composta e misterica in The Latter; soffuso il duplice gioco di ancia e mantice, che con quieto sviluppo si dipanano sulle vibranti linee del violoncello, lungo una progressione che esalta gli schemi ordinati della scrittura; più frementi le coralità nella successiva Framed, giocata sulle forze degli elementi d’aria, in cui l’ancia contralto di Berne non manca di svettare con autocontrollo su un clima increspato.
Destrutturato ed idiosincratico lo sfuggente impianto di Eez, intimismo e contemplazioni di spirito notturno nella dimessa Low Strung, cui s’avvicenda l’iniziale spirito espressionista, poi francamente neo-free della successiva Clustard.
Spirito interrogativo, se non provocatorio nelle quadrature apparenti di Mortal and Pestered, evocazioni di spirito febbrile nell’instabile Frosted, che a dispetto del titolo risuona pervasa da un tappeto di brace; in Fess vaghezze sciamaniche fungono da legante per le acri ma flebili esternazioni dei solisti.
Fantasmatico ed ebbro il tono generale della sfuggente 10tious, di più spiccata estensione rispetto al rimanente programma, in cui i tre attori non mancano d’interloquire a mutevole soggetto, preludente alla più tonica Sutile, in cui riescono più nette le linee solistiche, seppur in astrattezza.
Vaghe suggestioni gershwiniane nell’intro di Partial 2, che apre nello spirito dell’alba un passaggio di meditativo spleen; emotività criptica nel tono generale della conclusiva Peeled, in cui più nettamente risalta l’apporto vocale di Nealand, avvalorando le qualità dell’amalgama, investito in un epilogo sensibile e catartico.
Palesi le energie creative e le propensioni visionarie dei singoli, sperimentati solisti, nel presente caso poste piuttosto al servizio di un canone neo-cameristico di straniante visionarietà, connotato in più parti da un privato clima cospirativo, e non privo di inattese suggestioni di sacralità, e s’apprezza anche un ricorrente intercambio identitario tra gli strumenti (diremmo che tendano a confondersi, ad esempio, la timbrica lignea del clarinetto e quella metallescente del sax, ma non sarebbe l’unico esempio).
Di radicale, ma a suo modo manierato spirito meditativo, la sequenza di Oceans And esita quale appagante prova di funzionali sintonie, e di abilità rappresentative giocate su arguzia istantanea e composizione esplorativa.
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