Non giunge nuova la libertà inventiva, fino al parossismo spregiudicato, nelle invenzioni ritmiche e registiche del batterista-fantasista Jim Black, sorprendente sideman (più spesso ‘inter pares’) nonché notevole leader, ruolo che si conferma anche nella conduzione del concentrato collettivo The Schrimps.
Costituito quest’ultimo dal contrabbassista Felix Henkelhausen e dalla doppia punta d’ance Julius Gawlik (sax tenore) e Asger Nissen (contralto), il quartetto sembra ricalcare la composizione di due formazioni già rinvigorite dal Nostro, tali il Tim Berne’s Bloodcount, formazione attiva negli anni ‘90, ed il più contemporaneo Endangered Blood, ritrovando le motivazioni di base nell’impulso a staccare dall’espressione mainstream e puntare piuttosto alle più pregnanti derivazioni del jazz ‘black’ a partire dagli ultimi anni ’60 – nella sostanza valorizzando le intuizioni dei Coltrane, Coleman, Ayler etc. pur ritenendo di maggior urgenza, nei tempi correnti, “ri-enfatizzare ciò che facciamo o da dove veniamo… e questa band è decisamente improntata, ispirata e debitoria in tutto rispetto al jazz nero americano”.
Ennesimo fenomeno di contatto tra maestranze neo-jazz dei due fronti dell’Atlantico, esorditi nell’apprezzato album “Ain’t No Saint” (Intakt, 2023), i quattro qui consolidano quanto già esternato in precedenza, completandone la perfettibile (e un po’ discontinua) prima risultante in studio con un nuovo programma che nella sostanza ne conferma estetica e progettualità, condensando ancora una sorta d’intricato prog-jazz, che incorpora svariate decadi dello stile, ma decisamente ed eminentemente teso all’enfatizzazione delle invenzioni ritmiche ed alla regia della band.
Introdotto da una polposa ritmica vintage, il quartetto ri-esordisce compatto nelle eruttive energie di The Sheila, nuovo sampler di drumming elastico e propulsivo su cui s’installa il lavoro dei sax, basato su cesello e liberazione energetica; cambio di passo, disarmante e nonchalant, nell’eponima Better You Don’t il cui dinoccolato andamento nulla toglie all’edificazione di sorprese nel mutevole andamento ritmico.
Clima terso e leggibile interplay delle ance nel dinamismo moderato di Backtracks; intessuta su un lavorìo di metalli, Ok Yrself è un etereo plateau su cui le ance disegnano con tratto austero e spiritato.
Cane di Male adotta del familiare quadrupede un assetto ringhioso oltre ad una certa severità nelle quadrature d’insieme; ancora trasparenze ritmiche nella quasi cullante Only Sleep, adottando soluzioni sghembe nella pulsante e sincopata Stone Placid, ove alle montanti edificazioni della batteria fanno ala i bordoni dei sax.
Ancora polpa ritmica, livida e propulsiva, innerva le figurazioni decise Actually Probably Matters, passaggio di vivida animazione, preludente al finale espresso nelle poliritmie dell’esplosivo solo-drum della concentratissima Extra Acid.
Superfluo rilevare come anche questa esperienza contribuisca ad argomentare l’esuberante profilo del batterista-leader, per le cui assertività caratteriali e la grande apertura stilistica si sono suggerite analogie anche illustri e solo in apparenza non intuitive (tra cui con lo storico, zeppeliniano John Bonham), e che certamente potrebbe proporsi come interprete del tutto titolato perfino dell’ostica, zappiana ‘Black Page’.
Convincente peraltro la disciplina ed il senso spettacolare dell’associata, verdissima band, forse non pienamente servita dalla prima fissazione in studio (nel presente caso, una session berlinese di fine 2024), ma che i disponibili passaggi in video attesteranno nella vitalistica forma on stage, e definiti dal leader “curiosi, impavidi, virtuosi e tutto cuore”.
Multiformi logiche del ritmo e generosa dispensazione di plasticità e colore (probabilmente più la prima) suonano alla base di scelte spettacolari piuttosto appaganti di Jim Black & the Schrimps, nel nuovo programma segnato da virulenza figurativa, dall’eruttiva cornice ritmica e dalla forza per lo più impetuosa della coralità.
https://www.soundcontest.com/jim-black-the-schrimps-better-you-dont/