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Unabhängige Musik seit 1986.
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394: DAVID VIRELLES with BEN STREET and ERIC McPHERSON. Carta

Intakt Recording #394/ 2023

David Virelles: Piano
Ben Street: Acoustic Bass
Eric McPherson: Drums, Percussion


Ursprünglicher Preis CHF 12.00 - Ursprünglicher Preis CHF 30.00
Ursprünglicher Preis
CHF 30.00
CHF 12.00 - CHF 30.00
Aktueller Preis CHF 30.00
Format: Compact Disc
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David Virelles legt mit seinem exquisiten Trio auf Intakt Records ein mit Spannung erwartetes Debut-Album vor. Der in Santiago de Cuba geborene Pianist und Komponist hat sich mit seiner afrokubanisch geprägten Tastenkunst in der internationalen Jazz-Szene etabliert und mit diversen Kollaborationen u.a. mit Henry Threadgill, Andrew Cyrille, Chris Potter, Wadada Leo Smith, Tom Harrell, Milford Graves und Ravi Coltrane einen Namen gemacht. Acht der neun Kompositionen auf Carta stammen aus der Feder von David Virelles und öffnen allesamt Türen zu freier Interpretation und Entwicklung. Mit David Virelles, Ben Street und Eric McPherson sind in diesem zwischen Komposition und Improvisation oszillierenden Trio drei der einflussreichsten Stimmen im zeitgenössischen US-amerikanischen Jazz vereint. Carta wurde im legendären Rudy van Gelder Studio aufgenommen. Anstelle von Liner Notes hat der Poet Malik Crumpler ein von der Musik auf Carta und Gesprächen mit den Musikern inspiriertes Gedicht beigesteuert.

Album Credits

Visual art: Alec Dempster
Graphic design: Fiona Ryan
Poem: Malik Crumpler
Photos: Ogata

All compositions by David Virelles (SongTrust/SOCAN/GEMA), except Confidencial by Enrique Bonne Castillo, arranged by David Virelles. Recorded at Rudy Van Gelder Studio, Englewood Cliffs, New Jersey, on May 31 and June 1, 2022. Recording engineer: Maureen Sickler. Mixed by Todd Carder at The Bunker Studio. Mastered by Alex De Turk at The Bunker Studio. Executive Producer: Florian Keller. Produced by David Virelles and Intakt Records. Intakt Records, P.O.Box, 8024 Zürich, Switzerland.

Customer Reviews

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A
Anonymous
Morning Star Online

THE voices of his birth city, Santiago de Cuba, are deep in the heartsong of David Virelles, and they ring from his piano all through his album Carta, alongside New York confreres, bassist Ben Street and drummer Eric McPherson.

All the compositions are his and they radiate a Caribbean soulfulness. Confidencial is slow and ruminative with McPherson’s percussive comradeship close and instinctive, while NY Chepinson reflects those great pianists who made New York their home. Monk and Bud Powell’s life struggles are reborn from Virelles’s every note.

The album’s title tune begins with what sounds like rattling shells, before Virelles’s keys and Street’s delving bass create faraway sounds of intensity and love.

Virelles’s pianism is an amalgam of islands and cities, Cuba and the Apple in a stylistic fusion created by a rare imaginative artistry of sound. Carta is a letter of union, beyond division and hostility.

https://morningstaronline.co.uk/article/album-reviews-september-17-2024

S
Sandro Cerini
Musica Jazz

Nel recensire «Nuna», album quasi del tutto solitario, avevamo largamente elogiato la capacità di Virelles di ottenere un’efficace sintesi espressiva tra molti elementi, nei quali si ritrovavano il suo altissimo magistero pianistico, profili fortemente identitari, un approccio colto, talora ai limiti dell’intellettualismo, ma anche un afflato tradizionale, quasi di «scuole nazionali», sempre pronto a riemergere. Tutti aspetti che, insieme alla formazione, alle frequentazioni e alla brillante carriera già maturata, fanno del pianista cubano un sicuro protagonista. In questo nuovo album, che è in qualche modo un triplo debutto (primo disco in trio, con una formazione nuova di zecca e per una diversa etichetta) tutti gli aspetti sopra citati vengono mantenuti e rafforzati, garantendo la perfetta riuscita di un’opera davvero maiuscola. Il formato e due partner di asso[1]luto livello danno modo a Virelles di mettere in piena evidenza le proprie qualità compositive (otto dei nove brani sono da lui scritti) e pianistiche (davvero enormi, in pieno accordo al milieu da cui proviene), sfruttando una specie di effetto-leva nella valorizzazione degli aspetti ritmico-melodici. La forza comunicativa della musica è spiccata e diretta, a tratti spettacolare, ma sempre caratterizzata dal grande equilibrio che la felicissima integrazione dei tre sa garantire. Questa brillantezza e le matrici più «popolari» (africane e caraibiche) non deprivano minimamente la complessa stratificazione della musica, che rimane sofisticata e raffinata. Ogni difficoltà viene affrontata e risolta con irrisoria facilità da tre musicisti di levatura altissima. Tra i brani spiccano, in particolare, per opinabile scelta personale, NYChepinsón, Tiempos, Confidencial (unico non originale, composto da Enrique Bonne), mentre quello che intitola il disco riporta verso atmosfere di oscura astrazione che fanno parte della cifra di Virelles, ma che in questo disco non prendono mai il sopravvento. Completa un quadro così splendente l’eccellente qualità della registrazione, operata nel leggendario studio di Rudy Van Gelder a Englewood Cliffs. Assolutamente da ascoltare.

https://www.musicajazz.it/recensione-david-virelles-carta/

K
Kevin Whitlock
Jazzwise Magazine

NEW RELEASES

1 Jaimie Branch Fly or Die Fly or Die Fly or Die ((world war)) International Anthem

2 Fire! Orchestra Echoes Rune Grammofon

3 David Virelles Carta Intakt

4 Lorenzo Di Finti Lullabies From An Unknown Time Lose

5 Lakecia Benjamin Phoenix Whirlwind Recordings

6 Canadian Jazz Collective Septology: The Black Forest Sessions HGBS Blue

7 Eddie Gripper Home Ubuntu

8 The Necks Travel Northern Spy

9 Christian McBride's New Jawn Prime Mack Avenue

10 Satoko Fujii Hyaku: One Hundred Dreams Libra

R
Riccardo Talamazzi
Off Topic Magazine

Da un po’ di tempo il nome del pianista cubano David Virelles compare sempre più spesso tra le pagine di Off Topic. Lo abbiamo incrociato, ad esempio, tra i membri dell’organico del batterista Jonathan Blake nei suoi ultimi due album, Passage (2023) e Homeward Bound (2021) – vedi rispettivamente qui e qui – e inoltre ha fatto parte anche della band di Andrew Cyrille in The News (2021) – vedi qui. Nonostante Virelles sia arrivato con il nuovo Carta al settimo album da titolare – escludendo l’e.p. Antenna del 2016 – credo che questa sia effettivamente la prima volta in cui Off Topic si occupi direttamente di questo musicista. Il quarantenne Virelles appartiene a quella ben lunga tradizione di pianisti cubani che hanno contribuito alla storia del jazz moderno tra cui ritroviamo Bebo e Chucho Valdes, Gonzalo Rubalcaba, Ramon Valle, Omar Sosa, Aruan Ortiz, Roberto Fonseca, Marialy Pacheco ecc. In cosa si differenziano i pianisti cubani da tutti gli altri? Non è certo una considerazione banale far riferimento alla padronanza delle eclettiche e variopinte componenti ritmiche, molto legate alle danze tradizionali, di cui Cuba è storicamente portatrice. Oltre al fatto che il pianoforte è considerato in primis uno strumento percussivo, i cubani sembrano possedere una fluida naturalezza nel creare armonie idonee al jazz e un’abilità tecnica e improvvisativa di prim’ordine, quasi fossero tutte queste caratteristiche derivative dal variegato e abitudinario rapporto con i ritmi frammentati delle loro danze. Forse è proprio per quest’ultima caratteristica che la loro musica possiede anche una venatura d’immediata sensualità, al netto di ogni semplice esotismo. Sfumatura peraltro presente anche in questo Carta – in spagnolo sta per “lettera” – che, almeno all’ascolto di gran parte dell’album, sembra quasi una rilettura in chiave contemporanea di tutta una specifica tradizione musicale centro-americana, rivisitata alla luce di componenti più moderne e piuttosto dissonanti legate al jazz ma anche influenzate, pur in misura minore, da un certo repertorio classico con cui Virelles ha avuto confidenza fin dall’età di sette anni.

La sua preparazione musicale, dopo una prima esperienza familiare – essendo figlio di musicisti – e una successiva fase di maturazione avvenuta a Toronto, si è affinata a New York con Henry Threadgill come maestro di composizione. In questa stessa città Virelles si è ritrovato a incidere dischi come sideman con artisti come Chris Potter, Tomasz Stanko e i già citati Jonathan Blake e Andrew Cyrille, oltre ad aver suonato anche con Mark Turner, Steve Coleman, Wadada Leo Smith, Bill Frisell, Paul Motian, Tom Harrell, Ravi Coltrane ed altri ancora. Virelles, in questo Carta, utilizza abbondantemente le percussioni che sono in qualche modo la vera ossatura dorsale delle sue composizioni. Non dobbiamo però immaginarci una musica latina aderente a dei modelli noti, tutta esuberanza ed atteggiamenti estrovertiti. Virelles non è certo un pianista convenzionale di musica latino-americana. Si rimane quindi lontani dai cliché più comuni e si prende nota dell’aspetto profondo di queste composizioni, con momenti spesso più oscuri e meditabondi, in aggiunta alla tecnica eccellente di Virelles che emerge in primo piano tra improvvise mareggiate ritmiche e solitari ripiegamenti sonori. Il pianismo dell’artista cubano risente anche di passaggi più contemporanei e di immersioni in momentanee correnti atonali ma il tutto si svolge sotto un vigile senso autocritico che non permette lo sconfinamento verso territori troppo verbosi. La formazione triadica di questo album, oltre al piano di Virelles, prevede Ben Street al contrabbasso ed Eric McPherson alla batteria e alle percussioni. Ciliegina sulla torta, la presenza di Maureen Sickler, l’ingegnere del suono ex assistente di Rudy Van Gelder all’interno dello storico studio del New Jersey, dove l’album in questione è stato realizzato.

Primo brano in esame è Uncommon Sense, magnifico esempio di quel pianismo jazz contemporaneo in perenne stato pencolante tra il dentro ed il fuori rispetto all’armonia tradizionale. Virelles non fa sconti all’ascoltatore, gli fa dono di una componente ritmica impeccabile e di facile presa condotta dai suoi partner, mentre al piano osa senza ritegno, dopo una brevissima e pensosa introduzione solitaria con una traccia di bassi che fa da guida alla futura sequenza del contrabbassista. Atmosfera tutt’altro che apertamente latina, come avevo accennato poco sopra. Improvvisazione e accenni tematici si sovrappongono con scale che s’inflazionano di note armonicamente estranee. Il ventaglio timbrico si apre e si chiude, spesso si ancora a una coppia di accordi reiterati, una momentanea boa di sostegno in un fluire di note che tuttavia non cancella la frontiera del silenzio, quella linea strategica segnata a dare il giusto respiro senza creare una sovrabbondanza soffocante di suono. Confidencial è l’unico brano non composto da Virelles ma è del per...

G
Guido Festinese
Audio Review Magazine

Eccolo, finalmente, l'atteso album di debutto del pianista David Virelles, con il contrabbasso sapiente di Ben Street e la batteria di Eric McPherson: un triangolo equilatero che, ove la condotta delle parti sia realmente empatica, continua a riservare sorprese anche dopo decenni di affinate esperienze simili. Virelles, ricordiamo, arriva da Santiago de Cuba, ennesima conferma - dopo Gonzalo Rubalcaba, Omar Sosa, Aruán Ortiz... - che l'Isola caraibica ha ancora una scuola eccellente di jazz; in particolare di jazz pianistico aperto a ogni possibilità espressiva, non più dunque solo corde e ottoni fulminanti a "campana aperta".

Il nome di Virelles, non ancora quarantenne, dal 2001 con base nordamericana prima in Canada, poi a New York, ricorre giustamente in molte costruzioni musicali del jazz attuale che conta e che indica la via del futuro: Henry Threadgill, Andrew Cyrille, Wadada Leo Smith, ma anche Tom Harrell e Ravi Coltrane. Chi volesse farsi un'idea di come suona il suo tocco assieme rapsodico e intenso, piccole epifanie sonore magnifiche addensate in grumi accordali dal voicing particolarissimo, parta per l'ascolto proprio dalla traccia finale, "Samio": un gioco a rimpiattino con la cellula del "dostres" mille volte dissimulata e altrettante rivelata per accenni. C'è Monk, c'è Taylor, c'è il Jarrett più avventuroso, ci sono i silenzi di Paul Bley e la polpa ritmica di Cuba. Riuscire a comunicare il tutto in tempo reale a chi maneggia le grandi corde e lavora con bacchette e spazzole su pelli e metalli restituendo un corpo unico di suono è virtù dei più grandi musicisti: e Virelles, ora, si avvia ad occupare un posto di tutto rispetto nel jazz a venire.

T
Thomas Bugert
Jazzthetik Magazin

Im Juni 2022 nahm Pianist David Virelles mit dem Bassisten Ben Street und dem Schlagzeuger Eric McPherson einen musikalischen Brief auf, der nun als Album mit dem Namen Carta veröffentlicht wurde. Die kubanische Herkunft des aus einer Musikerfamilie stammenden Pianisten, der 2009 nach New York zog, findet sich in seinen Kompositionen, ohne dabei in Buena Vista Social Club-Klischees zu verfallen. Sie kann, wie bei dem Titelsong des Albums, mehr im Vordergrund stehen - oder auch mehr den Hintergrund bilden. Im übertragenen Sinn kann man sie auch als das Briefpapier sehen, auf dem die Musiker aktuelle musikalische Geschichten erzählen. Überhaupt scheint das Erzählen von musikalischen Geschichten und die Entwicklung der Musik innerhalb der Kompositionen ein zentraler Punkt des Albums zu sein. Entsprechend ist die Musik erfreulich unvorhersehbar, ohne verstören zu wollen. Vielmehr nimmt sie die Zuhörenden mit und lässt sie am Flow der Musiker teilnehmen. Es ist eine Musik, die auch von unterschiedlichen ineinandergreifenden Texturen geprägt ist. In dieser Klanglandschaft finden sich perlende Melodien über einem groovenden mitreißenden Fundament wie bei „Uncommon Sense" oder sphärische Sounds wie bei „Lamento Taíno". Die Geschichtenerzähler auf Carta zeichnen sich dabei durch eine technische Perfektion aus, die sie jedoch immer in den Dienst der Musik stellen. Dadurch entsteht eine Musik, in der nahezu alles kann, aber nichts muss.

S
Stéphane Ollivier
Jazz Magazine, France

Nouveauté. Pianiste cubain installé à New York, David Virelles s'est imposé ces dernières années auprès de musiciens aussi différents stylistiquement que Chris Potter, Tomasz Stanko ou Henry Threadgill, tout en s'engageant en leader pour le label ECM dans une série d'œuvres hybrides et ambitieuses revisitant les musiques rituelles afro-caribéennes au prisme du jazz le plus moderniste ("Mboko", en 2014, "Antenna" et "Gnosis" en 2016). Il signe aujourd'**** en compagnie du contrebassiste Ben Street et du batteur Eric McPherson un disque apparemment plus traditionnel dans ses formes comme dans ses références mais tout aussi personnel et abouti. Sur un répertoire composé dans sa quasi-totalité de pièces originales (seul le très beau Confidencial est une reprise du musicien cubain Enrique Bonne Castillo), Virelles met en œuvre une esthétique du trio collective et organique, son piano fluide et abrupt jouant avec virtuosité sur le principe d'une discontinuité radicale pour alimenter une musique d'une force lyrique indéniable, passant de séquences d'une grande densité rythmique à des plages plus abstraites et contemplatives ouvrant de larges espaces contemplatifs et oniriques.

M
Michael Rüsenberg
Jazz City

Andy Hamilton, unser guter Freund, hat wenig Platz im Wire (8/2023). Also beschließt er seine Kurzrezension mit mit zwei verbalen Salven:

„With due reference to the test of time, the Cuban pianist must be one of the greatest living jazz musicians.“
Oh je, diese Rakete fliegt aber über unser aller Köpfe hinweg. Ihren Wahrheitsgehalt hat Andy, der Philosoph in Durham/UK, listig irjenswie in die Zukunft verlegt.

Die zweite, die kleinere Rakete, dürfte in ihrem Wahrheitsgehalt hingegen schon in wenigen Monaten überprüfbar sein:
„Album of the year material“.
Andy erwähnt den Höhepunkt des Albums zwar nicht, aber wenn wir, wie gesagt unter Freunden, ihm „ein Stück weit“ (Winfried Kretschmann) entgegenkommen wollen, dann müssen wir zuallererst nicht über das Titelstück reden, sondern über track 6, „Tiempos“.
Nach Lage der Dinge sollte man das spanische Wort nicht mit „Zeiten“ übersetzen, sondern mit „Rhythmen“ oder noch besser: „Grooves“.
Denn „Tiempos“ enhält, nein brilliert mit etwas, das im Latin Jazz normalerweise gar nicht vorkommt: Tempo- und Rhythmuswechsel, oder besser: groove switching. Und obendrein extreme Lagenwechsel in der Linienführung des Pianos.
David Virelles beginnt „Tiempos“ piano solo als … Ragtime. Springt dann für knapp drei Minuten in einen langsamen Tango. Um dann für den großen Rest der Zeit, gut fünf Minuten, in einem swing-Shuffle zu verweilen, der aber so was von ausgekostet wird. Herrschaften!
In der linken Spielhand lässt Virelles immer wieder einen vamp aufscheinen, vollständig, in gebrochener Form, von Ben Street gespiegelt; mit Jazzklischees, die sogleich wieder verschwinden durch unübliche Kontraste. Möglicherweise sind diese 8:43 Minuten auch zu verstehen als eine Enzyklopädie des modernen Jazzpianos. In nuce.
Kommt im Schlußteil noch hinzu, drum-solo gegen riff.
Virelles, Street & McPherson könnten ewig so weiter machen. Sie ahnen es. Und lassen den Toningeneur sanft eine Blende ziehen.
„Jazzstück des Jahres“, lieber Andy, da wären wir dabei.
Apropos, Toningenineur: es ist eine -IN, Maureen Sickler, noch dazu im jazzhistorischen Rudy VanGelder-Studio in Englewood Cliffs/New Jersey.
Und sie weiß vor allen Dingen, wie man Eric McPherson in den Details seiner klanglichen Eigenart aufblühen lässt; das melodische drum-intro sowie eine cowbell-Figur in „NYChepinsón“, die rimshots in „Confidencial“, das percussion-Geratsche im Titelstück.
„Carta“ ist übrigens eine rubato-Ballade, noch ein Bruch mit den Konventionen des Latin Jazz.
Es macht Lust, McPherson noch einmal in zwei weiteren Pianotrios nachzuspüren, dem Borderlands Trio sowie Fred Hersch „Live in Europe“.

P
Peter Rüedi
Die Weltwoche

Der grenzenlose Mr Virelles

Die Erinnerung ist eine gewaltige Macht. Der grosse Jean Paul sagte, sie sei «das einzige Paradies, aus dem wir nicht vertrieben werden können», und das entfacht einen Sog, zumal wenn sich einer, kaum ist er ein Mann, vom Ort seiner Kindheit ins Exil begibt. David Virelles Gonzàles wurde 1983 in Santiago de Cuba geboren, als Sohn von Berufsmusikern. Mit sieben begann er Klavier zu spielen, mit achtzehn zog er nach Kanada, den Jazzvirus schon im Leib. Studien in Toronto, Privatunterricht bei Grössen wie Barry Harris, Steve Coleman und Muhal Richard Abrams. 2009 kommt er nach New York und trifft dort mit dem Saxofonisten Henry Threadgill seinen wichtigsten Mentor. Er beginnt seine Laufbahn in Bands von unter anderem Andrew Cyrille, Chris Potter, Tomasz Stanko, Steve Coleman; auch bei Aufnahmen für ECM, wo er bald zudem Alben unter eigenem Namen produziert, «Ghosts» und zuvor schon das Projekt «Mbokò», eine Spurensuche nach alter, ritueller afrokubanischer Musik. Das Paradox «futuristische afroamerikanische Kammermusik», wie er das Unternehmen nannte, steht für die Ambivalenz der Erinnerung. Einerseits ist da der Sog zurück ins «Paradies». Andererseits kann der die Leidenschaft für die ganze Musik verdunkeln, um die es dem grenzenlosen Virelles zunehmend geht.

So ist dessen jüngstes Album (im Trio mit seinem alten Partner Ben Street am Bass und Eric McPherson am Schlagzeug) nur mit Gegensätzen respektive Polaritäten zu beschreiben: fokussierte Power und Abschweifung, kantige Konstruktion und emotionale Tiefe, strukturierte Statements und ornamentale Geläufigkeit. Alles in einem, integriert in dichtes Trio-Interplay. Keinerlei Anbiederung an eingängige Folklorismen à la Buena Vista Social Club. Durchaus «Avantgarde-Jazz» (auch wenn Virelles selbst den Begriff nicht mag), aber immer wieder mit jähen Erinnerungsblitzen, halbverdeckten oder auch mal offen zugelassenen kubanischen Reminiszenzen. Nebst, andererseits, in der Art von Bud Powell vieldeutig schimmernden Akkordlagen in balladesk innigen Momenten.

«Carta», in New York aufgenommen, ist Virelles’ Erstling beim Zürcher Label Intakt. Was insofern naheliegt, als die Zürcher HdK und die Basler Hochschule das Glück haben, diesen aussergewöhnlichen Pianisten gelegentlich zu ihren Lehrkräften zu zählen.

https://weltwoche.ch/?post_type=weekly&p=165011

J
Josef Woodard
Downbeat Magazine

Intakt has long been a rich source of American jazz of an adventurous stripe. The Swiss label's recent releases include two prime examples of bold New York artists, saxophonist Chris Speed and pianist David Virelles, stating their artistic cases beyond stifling mainstream standards.

The empathetic relationship between Speed and drummer Dave King has by now gone public through the enrollment of Speed in King's long-standing band the Bad Plus. Speed seems ideal in his new front-line position, supplying restraint, wit and heat when needed. Such qualities are also reflected in King's playing, as heard on Despite Obstacles, the third release by the “chordless” Chris Speed Trio.

Speed leads the session with a benevolent and democratic hand. His soft touch and muted tone on tenor, even on the more intense passages, serves him well on his lyrical-yet-angular ballad "Sunset Park In July" and gives distinction to more energetic terrain, as on "Uncomfortable Truths" and the title track.

On Carta, Virelles brings his own brand of poise and artful economy to the more common, but ever-malleable context of the classic piano trio format, in tight collaborative esprit de corps with bassist Ben Street and drummer/percussionist Eric McPherson. Improvisation plays a key role in the eight tracks, but always in service of the songs.

As with other bedazzlements in Virelles' discography, the pianist is carving out a fascinating new musical pathway to call his own. Cuban roots freely intermarry with touchpoints of jazz history (including the present moment), with measured virtuosity and deep musicality in check. Virelles' piano work impresses without distracting from the prime directive: heeding the musical integrity of the song set as an almost narrative whole.