Se c'è Tom Rainey dietro i tamburi, state certi che la musica palpita, veleggia, s'impenna. Che sia un piano-trio jazz (Kenny Werner, Fred Hersch, Kris Davis) o un gruppo a composizione stratificata e complessa (Tim Berne), oppure un gioco di libera improvvisazione (i Lark, Tony Malaby), il drumming di Rainey è garanzia di sorpresa, tensione drammatica, finezza espressiva. Quando si impegna a fare il leader, coordina (più che dirigere) questo ottimo trio con Ingrid Laubrock e Mary Halvorson che, dopo i già notevoli Pool School e Camino Cielo Echo, raggiunge la vetta con questo Hotel Grief.
L'affascinante vaghezza onirica dei primi album si sostanzia qui con una musica più densa e corposa.
L'incipit fa pensare al trio aureo Paul Motian/Bill Frisell/Joe Lovano. Uno spazio orizzontale senza limiti a disposizione, per dar forma a sussurri e articolazioni subito serrate e coinvolgenti. Rainey si affida alla fantasia delle compagne, congiungendo ritmicamente le loro invenzioni a due voci. La cadenza abrasiva di Halvorson in "Last Overture" è eloquente a indirizzare gli impulsi in grado di trasformare di colpo i colori pastello in trame invece calde e possenti; Laubrock sfodera il suo fraseggio più tecnico e fisico. I tre strumenti sono in felice empatia, ciascuno con la sua specificità raggiunge la medesima lunghezza d'onda, c'è una coerenza linguistica che non molla per l'intera durata dell'album, inciso dal vivo al Cornelia Street Cafè di New York. È il miracolo talora realizzato dell'improvvisazione senza rete, là dove i musicisti coinvolti comunicano in telepatia e rilanciano senza sosta conversazioni interessanti.
Il brano più vario è quello che titola l'album, in cui Rainey è anche suggeritore primario e autore di interventi sottili. Anche in "Briefly Lompoc" c'è spazio per un breve solo di percussioni, prima delle astrazioni collettive. Ma, ribadiamo, la forza di Rainey non sta nella muscolarità percussiva, ma nel saper in ogni istante valorizzare la musica, riverberando ciò che sassofoni e chitarra costruiscono e fungendo da àncora in questo mare sonoro molto mosso. "Proud Achievements in Botany" è la sequenza più estesa e precede quella invece più breve, "Mr. K.C.," dedicata al batterista Keith Copeland (scomparso un anno fa). Cinque minuti finali quasi liturgici, con Laubrock al soprano, che chiudono un set davvero mirabile.
https://www.allaboutjazz.com/hotel-grief-tom-rainey-intakt-records-review-by-stefano-merighi